di Stefano Araújo
Tra il 1998 e il 1999 si è consumata la guerra del Kosovo. Guerra che ha visto opporsi da una parte la Repubblica Federale Yugoslava e dall’altra gli indipendentisti kosovari dell’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo. Quest’ultimo, che ricordiamo essere riconosciuta dall’ONU fin dal 1998 quale organizzazione terroristica ed accusata di gravi crimini di guerra e di crimini contro l’umanità, ebbe come obiettivo quello di separare la regione del Kosovo, a maggioranza etnica albanese, dalla Serbia creando uno stato indipendente kosovaro. L’UCK godde inoltre del diretto appoggio della NATO tramite l’Operazione Allied Force, operazione che includeva il famoso bombardamento continuo per mesi di Belgrado e altre località serbe e kosovare. A seguito della guerra, e con l’occupazione militare del Kosovo da parte della NATO ancora in corso, il 17 febbraio 2008, unilateralmente le autorità kosovare dichiarano l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia. L’indipendenza venne non solo non riconosciuta dalla Serbia, dalla Cina e dalla Russia, ma anche da alcuni paesi dell’Unione Europea, come Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro. Ancora nel 2021 solo 101 dei 193 stati membri dell’ONU hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo.
Attualmente, nel Nord del Kosovo esiste ancora una minoranza di serbi, una popolazione di circa 100’000 persone che da anni è confronta con un acceso nazionalismo kosovaro, portato avanti dalle autorità indipendentiste che nega loro diritti e opportunità di vita e socioeconomiche. Questa difficile situazione ha portato più volte i serbi a manifestare il proprio dissenso, ad esempio boicottando le elezioni locali e regionali, che hanno visto insediare poco a poco, anche in zone a maggioranza serba, dei politici di etnia albanese. Le tensioni sono sempre state presenti, e quale ultimo capitolo, abbiamo visto il caso di Zvecan nel nord del Kosovo. In questa città a maggioranza serba, per opporsi all’insediamento di un sindaco di etnia albanese, un gruppo di manifestanti ha deciso di bloccare l’accesso al municipio locale il 29 maggio 2023. Ne nasce uno scontro violento tra la polizia locale kosovara e i manifestanti, che ha visto poi intervenire le forze NATO della KFOR. Alla fine degli scontri si registrano 50 feriti tra i civili e 30 tra i soldati italiani e ungheresi della KFOR chiamati ad intervenire. Tra le vittime non si registra la presenza di alcun soldato svizzero.
Ma di cosa si tratta la KFOR e perché citiamo l’assenza, tra i feriti, di soldati svizzeri? Ebbene, nel 1999, alla fine della guerra del Kosovo e con il ritiro delle truppe serbe dalla regione, sebbene vi fu un intervento dell’ONU, le truppe NATO decidono di rimanere sul terreno diventando così de facto una forza di occupazione militare. Viene in tal senso crata la forza militare denominata KFOR, ossia Kosovo Force. Al 2020 si contano 27 stati partecipanti alla KFOR, tra cui la Svizzera con la missione SWISSCOY, e un numero di effettivi totali di 3’500 uomini e donne. La Svizzera dunque è presente in Kosovo con 195 effettivi sotto il comando diretto della NATO, quando nel 2020 essi erano 165. Ricordiamo e sottolineamo che la KFOR non rappresenta una forza di peacekeeping dell’ONU, come il caso dei Caschi Blu, ma rappresenta una forza di occupazione militare che segue direttamente gli ordini della NATO e dell’imperialismo occidentale.
La missione SWISSCOY, la partecipazione di militari svizzeri nel Kosovo, rappresenta dunque una chiara violazione della neutralità elvetica, dato che a dare ordini ai nostri soldati è la NATO. Non solo, ma con il continuare delle tensioni tra le autorità locali, le forze straniere e la minoranza serba, c’è il forte rischio che delle soldatesse e soldati svizzeri vengano feriti oppure coinvolti in scontri violenti. Ciò è inammissibile e proterebbe a gravi conseguenze, anche per la nostra di sicurezza, ed è urgente più che mai il ritiro immediato di tutte le truppe elvetiche dal Kosovo, come richiesto da un comunicato del Movimento Svizzero per la Pace. La Svizzera, invece di sottostare agli ordini della NATO, dovrebbe impegnarsi affinché le autorità serbe e kosovare dialoghino per arrivare finalmente alla pace nella regione, riconoscendo anche i diritti della minoranza serba oggi presente in Kosovo. Cosa non possibile abdicando dalla nostra neutralità e diventando attori di un’occupazione illegale.